Vitruvius, I Dieci Libri dell' Architettvra di M. Vitrvvio, 1556

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142127LIBRO QVINTO
DELLA ARCHITETTVRA
DI M. VITRVVIO.
71[Figure 71]
PROEMIO.
LEPARTI dell’ Architettura (come nel Primo al terzo cap. ci ha dimostrato Vitr. & noi ancho ha
uemo replicato nel Proemio del terzo) ſono tre:
la Edificatione, la Gnomonica, & l’arte delle ma-
chine, Veduto hauemo nel medeſimo luogo, che in due partiera la Edificatiane diuiſa, Puna dellequa-
li apparteneua alle coſe publiche, &
communi. L’altra alla ragione delle opere particolari. Parti-
ta fu la ragione delle fabriche uniuer ſali, &
communi in modo, che unariguardaua la difeſa; dellaquale
1120 nel Primo Libro s’è detto.
L’altra eratutta alla Religione dedicata, gia eſpedita nel Terzo, & nel
Quarto Libro:
perchè nel ſecondo ha trattato della materia uniuerſale, conie di coſa che preſtamenie
ſi doueua eſpedire;
L’ultima alla opportunità, & alcommodo ſi concedeua. Di questa nel preſente
libro ſi tratta, nelquale ſi uede la Diſpoſitione del, Foro delle Baſiliche, dello Erario, della Curia, del-
la Prigione, del Theatro, &
delle coſe pertinenti al Theatro, come ſono le Scene, i Portici, la
Graduatione, de i Bagni, delle Paleſtre, &
luoghi da eſſercitarſi, & finalmente de i Porti. Lequal
tutte coſe appartengono all’uſo della piu parte, ne ſi poſſono ueramente chimar priuate, ne ancho publiche, ma communi, perche le publi-
che io intenderei eſſer le mura, &
le difeſe, che egualmente à tutti ſi riferiſcono, le commum quelle, che all’uſo, & piacer di moltiſi deſſe-
2230 ro, &
le priuate quelle, che ad una ſorte ſola diperſone ſi fabricaſſero. Prepone à questo trattamento un Proemio degno da eſſer conſide-
rato, percioche per eſſo ſi riſponde à molte dimande, che ſi ſoghono fare da molti, che ogni giorno uanno di Vitr.
ragionando per uſar
una parolamodeſtà, &
non dir cicalando, ne hanno letto, ne conſiderato bene quello, che in queſto authore ſitroua. Noi uedemo chia-
ramcnte, che Vitr.
non ſolamente ha conſiderato, & eſſaminato bene le coſe, dellequali egli doueua dare molti ammaeſtramenti, ma an-
chora ſi ha propoſto nell’ animo di eſplicare il tutto con bella, &
artificioſa maniera, & con modo al trattamento d’un’arte conueneuole,
chinon ha ueduto, è uede Pordine merauig lioſo de iſuoi precetti?
chi non ammira la ſcelta delle belle coſe? quale diuiſione, ò parte ci man-
ca, che al ſuo luogo non ſia coliocata?
chi leuera, ò aggiugnera, che bene ſtia alcun ſuo documento? Et ſe egli non ha parlato come Ari-
ſtarcho, Democrito, Ariſtoxeno, Hippocrate, ò come altro perfetto nella ſua profesſione, egli certamentè ha uſato quelle uoci, che era-
no ammeſſe à i tempi ſuoi, &
quella forma di dire, che ſirichiede da chi uuole inſegnare. Et perche queſta non è mia imagìnatione, ho ca-
ro che ſi legga il Proemio del preſente libro, di che ne feci auuertito nel mio Primo ragionamento il lettore.
la doue leggendo noi Vitr. in
3340 queſta parte, trouaremo quanto ho detto eſſer ueramente fatto da Vitr.
con deliberato, & ragioneuol conſiglio, il qual dimostra quanto
differente ſia lo ſcriuere le Historie, ò uero i Poemi, dal trattamento d’un’arte, &
proua la difficultà dello inſegnare, & non cilaſcia ancho
deſiderare il modo di ſcriuere i precetti dell’arte, &
però dice.
PROEMIO.
QVELLI, che con grandi uolumi eſpoſto hanno i penſieri del loro ingegno, & precetti delle coſe,
certamente hanno dato grandisſima riputatione à i loro ſcritti, ilche uoleſſe Dio, ò Imperatore
che ancho nei noſtri ſtudij ſi comportaſſe, accioche con tal ampiezza di dire etiamdio ne i noſtri
precetti l’authorità prendeſſe augumento, ma queſto non e, come altri crede eſpedito.
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il ſenſo di queſte parole è, che il potere à ſuo aggio ſcriuer quello, che nell’ animo ſi uolge, ſenzaeſſer obbligato à bre
uita di dire, ſuol dar credito, &
riputatione à gli ſcrittori, percioche à grado ſuo ciaſcuno ampiamente ſcriuendo,
può ampliare, adornare, &
acconciare i ſuoi ſcritti in modo, che poſſono piacere, & dilettare, e, ſpecialmente quando le coſe ſon tali, che
tengono i lettori deſideroſi di ſaper piu oltre, ma ſimile ampiezza non e coſi facile in ogni trattamento, perche ſe coſi fuſſe, io non dubita-
rei, che non potesſi a i miei ſcritti dare authorità &
riputatione, pero non potendo far queſto, io reſto con gran deſiderio farlo; ma di-
rebbe alcuno perche non lo puoi fare?
Vitr. riſponde.
Percioche egli non ſi ſcriue dell’ Architettura, come ſi ſcriuono le Hiſtorie, ò uero i Poemi.
I Poemi ſono penſamenti del noſtro mgegno, & le Hiſiorie eſſempi delle attioni, pero rifponde à quello, che egli ha detto poco di ſopra dicendo.
Penſieri del loro ingegno, & precetti.
Dapoi ſeguitando dimostra la differenza che, ė, tra lo ſcriuer PHiſtorie, & i Poemi, & trattar dell’ Architettura, dicendo.
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Le Hiſtorie, da ſe tengono i lettori, perche hanno uarie eſpettationi di coſe noue, & le miſure de i uerſi de i Poemi,
&
i piedi, & la ſcielta diſpoſitione delle parole, & delle ſentenze tra le perſone, & la diſtinta pronuntiatione dei
uerſi con luſinghe conduce i ſentimenti di chi legge ſenza offeſa inſino all’ultimo de gli ſcritti, ma queſto non ſi puo
fare nello ſcriuere dell’ Architettura.
La Hiſtoria diletta, perche apporta ſempre coſe noue, dellequali ne è l’animo nostro ſommamente deſideroſo; dilettando la uarietà, è neceſſario,
che il lettore ſi ſtia ſempre bramoſo, però per ſatisfare al ſuo deſiderio legge continuamente, &
con difpiacere ſi ferma. Et molto piu
dilettano i Poemi, ſi perche hanno la nouità delle coſe, ſi perche allettano.
l’orecchie con la ſoauità de i numeri, & delle parole, doue l’huo-
mo tratto da doppia dolcezza, ſi laſcia condurre inſino all’ultimo de gli ſcritti.
Ma nel trattamento d’un’ arte, perche le parole naſcono da
necesſità, &
le coſe ſono oſcure, non ſi puo adeſcare l’animo di chi legge eſſendo dalla ſtranezza delle parole, & dalla difficultà delle coſe
confuſo:
ilche maggiormente nella Architettura ſi conoſce, il cui trattamento è per ſua natura molto piu difficile de gli altri, & pero ben
6670 dice Vitr.
Ma queſto non ſi puo fare nello ſcriuere dell’ Architettura.
Cioe con uarie eſpettationi di coſe noue, & con doleezza di parole tirare glianimi ſino al fine, & ne rende la cauſa dicendo.
Perche i uocaboli nati dalla propia necesſità dell’arte, con inuſitato parlar’ oſcurano la intelligenza.
Ogni arte uſa i propi uocaboli, i qualinaſcono dalla necesſità delle coſe, pero biſogna prima partitamente ſapere come ſi chiama, & come dico-
no i Filoſofi, il quid nominis, de gli inſtrumenti dell’ arte.
Questa propietà di trouare, ò di eſporre i uocaboli, rende oſcuro il

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