Vitruvius, I Dieci Libri dell' Architettvra di M. Vitrvvio, 1556
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143128LIBRO di chilegge; ne questa difficultà posta ſolamente ne i nomi, ma anchora nelle forme di parlare, & ne i modi del dire, ne è lecito nello in-
ſegnare d’ un’ arte, ampliarſi, &
uſar giramenti di parlare, perche non ſi finirebbe mai, e tirandoſi la coſa in lungo non ſi ſeruirebbe alla me
moria, allaquale ſi conuiene con la breuità, &
con l’ordine dar aiuto, & però dice Vitr.
Non eſſendo adunque da ſe manifſeſte quelle coſe, che nelle arti ſono, & non eſſendo ancho i nomi di quelle eſpoſti, &
chiari nella pratica, &
nella uſanza, & uagando molto ancho le ſcritture de i precetti, ſe non ſi reſtringono, & cõ po
che, &
aperte ſentenze non ſi dichiarino ponendoui impedimento la frequenza, & la moltitudine del parlare, ren-
dono dubbioſe le menti de i lettori.
Ecco Vitr. dicendo la frequenza, & la moltitudine del parlare dichiara quello nel principio diſſe.
Quelli che con grandi uolumi eſpoſto hanno.
Byogna adunque inſegnando eſſer breue, perche la breuita ſoccorre alla memoria, ma è neceſſario ancho prouedere, che la breuita non ſia oſcu-
1110 ra, perche ſi offenderebbe la intelligenza, &
pero per contentar la memoria, e lo intelletto, inſegnando fa biſogno di breuita, & di chiarez-
za, la doue ottimamente Vitr.
dice in questo luogo, che le ſcritture de i precetti, cioe il dar precetti, & ammaeſtramenti ſcriuendo, ſe non
ſi riſtringono, cioe ſe non ſi danno con breuita, &
con poche, & aperte ſentenze non ſi dichiarino (ecco la chiarezza) ponendouiimpedimen
to la ſrequenza, cioe la inculcatione, doue s’oſcura lo intelletto, &
la moltitudine, cioe la longhezza, doue ſi offende la memoria, rendono dub-
bioſe le cogitationi di chi legge, &
per cogitatione pare, che Vitr. intenda le uirtù piu interiori dell’ anima, che ſono la memoria, & lo in-
telletto:
eſſendo adunque tai coſe uerisſime, conclude dicendo.
Et pero pronunciando io gli occulti nomi, & le occulte miſure delle membra dell’opere, breuemente mi eſpedirò, accio
che ſiano mandati à memoria:
perche coſi piu ageuolmente le menti le potranno ricenere.
A mio giudicio douea dire Vitr.
Breuemente, & con chiarezza mi eſpedirò.
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Volendo con la parola breuemente riſpondere à quello. che ha detto.
Accioche ſiano mandate à memoria.
Et con la parola chiarezza Satisfar à quello, che ha detto.
Percioche coſi piu ageuolmente le menti le potranno riceuere
Cioe intendere, & capire: imperoche il noſtro intender non e altro, che un certo riceuimennto: per le dette ragioni adunque Vitr. uuol eſſer bre
ue;
quanto però può portare il trattamento di coſa difficile: oltra, che n adduce un’altra, ragione dicendo.
Similmente hauendo io auuertito la Città eſſer occupata, in publiche, & priuate facende, ho giudicato douer eſſer bre
ue ne gli ſcritti miei, accioche nella ſtrettezza dell’ocio, quelli, che leggeranno breuemente posſino capire.
Vuol dir Vitr. quello che non puo fare ne i miei ſcritti il numero, & la bellezza de i uerſi, la commodità di allargarſi, & la nouità de i ueri ſuc-
cesſi.
farà la breuita, & la chiarezza dello in ſegnare, che ancho inuita à leggere gli occupati, & trauagliatiin diuerſe facende. Hora che
3330 utilità porti la breuità nello inſegnare, ſi dimoſtra da una conſuetudine di Pithagora Filo ſofo eccellentisſimo, ilquale deſideroſo, che i precetti
ſuoi reſtaſſero nelle menti di chi gli aſcoltaſſe, non ſolamente era breue in dar un precetto, ma anchora tutta la ſomma de i ſuoi precetti rinchiu
deua in certo, &
determinato numero, ilquale miſterioſamente (diceua egli) à coſa stabile, & immobile asſimigliandoſi poteua nella mente con
ſomma stabilità, &
fermezza ripoſarſi, & pero dice Vitr.
Coſi ancho piacque à Pithagora, & à i fuoi ſeguaci ne i loro uolumi ſcriuere i loro precetti con ragioni cubiche, & fece
ro il cubo di dugento è ſedeci uerſi, &
quelli giudicarono non douer eſſer piu di tre in un trattamento. Il cubo è cor
po di ſei lati, quadrato di eguallarghezza di piano.
Queſti poi che è tratto in quella parte, che ſi poſa, ſe non è toc
co, tiene una immobile ſtabilità, à guiſa de i dadi, che ſi tirano ſopra i tauolieri.
I precetti de i Pitagorici er ano breui, & raccolti in uerſetti come queſti. Non percuoter il fuoco col coltello. Senza mangiarla, trappianta
la Malua.
Nella tua caſa non laſciar le Rondini; Laua il pie manco prima, & calza il deſtro. Ne core ne ceruello mangierai. Non orinar, ne
4440 parlar contra il Sole.
Non guarderai alla lucerna il ſpecchio. Fuggi la uia regal, ſegui il ſentiero. Sputa nell’unghie tue, ne tuoi capelli. Et
ſimilmente formauano molti altri precetti detti con ſomma breuità, à quali dauano altro intendimento di quello, che ſonauano le parole, &
uo
lendo trattar d’ una coſa ſola ſtando ſermi in una materia, raccoglieuano quei uerſetti in una certa, &
determinata ſomma preſa dal numero cu
bo.
Sicome cubo ſi chiama quel corpo, che è di ſei lati, & di ſei quadrati, & eguali faccie come un dado, coſicubo ſi chiama quel numero, che
di ſei numeri piani contento per ogni uerſo tiene eguali dimenſioni.
Naſcono i cubi dopo la unità diſponendo i numeri diſpari, che naturalmen-
te diſpoſti ſono ponendo prima i due primi diſpari, dapoi i tre ſeguenti, dapoi i quattro, che uengono, e coſi di mano in mano.
Ecco lo eſſem-
pio, laſcia l’, e piglia i due diſpari primi, che ſono 3.
& 5 raccoglieli, fann’otto, che e il primo cubo. Piglia i tre ſeguenti diſpari 7. 9. 11.
& ſommagli fan 27. che e il ſecondo cubo, & coſi ua ſeguitando ne i quattro ſeguenti dipaſpari 13. 15. 17. 19. che poſti inſieme fanno il terzo
cubo, che, e, 64.
Quando adunque ſia, che moſſo il punto ſi generi la linea, & moſſa la linea ſi generi la ſoperficie, & moſſa la ſoperſicie ſi
faccia il corpo, non è lontano dalla ſimiglianza, ſe pigliando la unità, &
continuandola produremo un numero lineare, ilqual numero per lo
5550 ſuo uerſo continuato faccia il numero ſoperficiale, ilquale moſſo ancho eglifaccia il ſodo.
Come ſe alcuno ſi aggiugneſſe la unità, il nume-
ro nato, che è due dimoſtra per una certa ſimiglianza la lunghezza, che è propia della linea, &
moſſo il due come linea ſi aggiugne alla lun-
ghezza, ancho la larghezza, &
ſi fa quattro numero ſoperficiale, che riſponde al quadrato, queſtimoltiplicato per due, che e uno de ſuoi
lati, come s’ egli ſi moueſſe, ne genera il ſodo per ſimiglianza delle figure cubo nominato, &
però non uale à dire ſe ſono ſei faccie, biſogna, che
ci ſieno ſei unità.
Dice Vitr. che i Pithagorici con ragioni cubiche de i uerſi dauano i precetti loro, & che poneuano non piu di tre cubi in un
trattamento, pero formauano un cubo grande di 216 uerſi in queſto modo, moltiplicauano il tre in ſe, &
faceuano il ſuo quadrato noue, que-
sto noue moltiplicato per tre, che è lato del quadrato fara uentiſette, che è il ſodo e cubo di quel quadrato.
Similmente l’altro cubo ſi fa da un
numero lineare di quattro unità continuate, le quali moltiplicate inſieme, come s’egli ſi moueſſe la linea, farà una ſoperficie quadrata di ſedici,
et moltiplicata quelia ſoperficie per lo lato ſuo, che era quattro, ne fara la ſomma di 64.
riſpondente ad un ſodo cubico, che giunto al primo
cubo, che era uentiſette fara la ſomma di 91.
coſi ilterzo cubo nato dal numero lineare di cinque unita, & ſoperficiali di 25, e 125. che aggiun
6660 to al 91.
rende la ſomma di 216. A queſto numero adunque aggiugneua la ſomma de i precetti Pithagorici, iquali hauendo ſimili quantità di
uerſi, cioe e{ſS}endo con la ragione del cubo raccolti penſauano, che doueſſero hauer quella fermezza nelle menti, che ſuole hauer il dado quãdo
ègettato ſopra il tauolieri.
Ma e merauiglia, perche cauſai Pithagorici non pigliaſſero il primo cubo, che è otto, & poiil ſecondo, che è 27. &
poi il terzo che è 64.
& non raccoglieſſero queſti tre cubi nella ſomma di 99. piu preſto, che cominciar dal noue. Ma forſe diuideuano i trat-
tamenti loro in cubi, &
ſe’l ſentimento de i lor precetti non era compreſo nel primo cuho aggiugneuano il ſecondo, & ſe queſto non baſtaua
aggiugneuano il terzo, ilquale era capace d’ogni ſomma, &
perche il primo cubo, che è otto, è poco per comprendere un propoſito, pero
ſtimo io, che andauano al ſecondo cubo, che è uentiſette cauſato dal tre, numero priuilegiato da Pitahgorici, &
coſi partitamente aggiugne-
uano i cubi ſe’l biſogno lo richiedeua, &
non ſi metteuano in necesſità di ſerrare tutti i loro trattamenti in 216 uerſi, ma alcuni erano com-
preſi nel 27.
altri nel 64. & altri, nel 216. ne uoleuano paſſar piu oltre, ſtimando, che troppo lungo ſariastato un trattamento di 432. uerſi,
che ſono del cubo nato dal ſei, &
aggiunto alla ſomma predetta. A queſto modo io eſponerei la mente di Pithagora. Prende poi Vitr. un’al-
7770 tro eſſempio dai poeti Greci, &
dice.
Eti Greci compoſitori di comedie interponendo dal choro le Canzoni, diuiſero lo ſpatio delle fauole in modo, che fa-
cendo le parti con ragioni cubice, con gli intermedij alleggeriuano la fatica del recitar’ de gliauttori.
Io non ho trouato anchora, come i Greci faceſſero le parti, che io Atti chiamerei, con ragioni cubice, non trouandoſi forſe, quelle fauole à quel
modo compartite, che ſi trouauano al tempo di Vitr.
Mae biſognaua ò che gli atti fuſſero otto, ò uero otto ſcene, per atto, ò uero il nu-
mero de uerſi d’una ſcena, ò d’un atto foſſe Cubico, ma pare che Vitr.
accenni gli intermedij delle fauole fatte di numero

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