Vitruvius, I Dieci Libri dell' Architettvra di M. Vitrvvio, 1556

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200181LIBRO SETTIMO
DELLA ARCHITETTVRA
DI M. VITRVVIO.
98[Figure 98]
PROEMIO.
ET PRVDENTEMENTE, & utilmente deliberarono i noſtri maggiori di la-
ſciar à poſteri per relatione de Commentari i penſieri de gli animi loro, accioche non
periſſero, ma in ogni età creſcendo, &
in luce mandati con i uolumi à poco à poco con
la uecchiezza perueniſſero alla ſomma ſottigliezza delle dottrine.
Et però nõ di poche,
ma d’infinite gratie à quelli tenuti ſiamo, che non hanno con inuidia uoluto tacere, ma
hanno procurato con ſcritti mandar à memoria ogni maniera di ſentimento, perche ſe
coſi fatto non haueſſero;
noi non haueresſimo potuto ſapere, che coſe ſtate fuſſero
fatte nella città di Troia;
ne quale opinione Thalete, Democrito, Anaxagora, Xeno-
fonte &
gli altri Filoſofi naturali haueſſero hauuto della natura delle coſe, & qual
deliberatione della uita haueſſero à gli huomini laſciato;
Socrate, Platone, Ariſtotile,
1110 Zenone, Epicuro, &
gli altri Filoſofanti. Ouero qual coſa, & con che ragione Cre-
ſo Aleſſandro, Dario, &
gli altri Re fatte haueſſero, ſe i maggiori noſtri, con gli ammaeſtramenti alla memoria di
tutti, per la poſterità non l’haueſſero ſcriuendo inalzate.
Et però ſi come à queſti ſi deue hauer gratie, coſi per lo
contrario deono eſſer biaſimati, coloro, iquali furando gli altrui ſcritti per ſuoi gli uanno publicando, &
non ſi
sforzano con i propi loro penſamenti di ſcriuere, ma con inuidioſi coſtumi l’altrui opere uiolando s’auantano, &

però non ſolamente ſono degni di riprenſione, ma, perche hanno menato la lor uita con empi coſtumi eſſer, deono
caſtigati.
Etperò queſte coſe eſſer ſtate uendicate curioſamente da gli antichi ſi dice: gli eſiti de i quali ne i giudi-
cij come fuſſero, non penſo che ſia fuori di propoſito eſplicare, come à noi ſono ſtati laſciati.
I Re Attalici indotti dalla dolcezza di ſapere le ragioni delle coſe hauendo à commun diletto fatto una bella, & egre-
gia libraria nella Città di Pergamo.
Ptolemeo d’ardente zelo di deſiderio incitato à quel tempo con non minore in
2220 duſtria ſi forzò di farne una in Aleſſandria medeſimamente, &
hauendo ciò fatto con ſomma diligenza, non penſo,
che queſto fuſſe aſſai, ſe egli non haueſſe cercato diaccreſcerla con noue ſemenze, &
però conſacrò i giuochi alle
Muſe, &
ad Apollo, & come de gli Athleti, coſi à i uincitori de i communi ſcrittori ordinò premi, & ampi modi
di eſſer honorati, poi che queſte coſe furono ordinate, &
eſſendo il tempo da fare i giuochi, ſi doueua eleggere i giu-
dici litterati, che quelli doueſſero approuare.
Il Re hauendone gia fatto, & eletto ſei, & non potendo coſi preſto rittrouare il ſettimo, ſi conſigliò con quelli, che era
no ſopraſtanti alla libraria, &
dimandò loro ſe haueſſero conoſciuto alcuno, che fuſſe atto à queſto giudicio.
Riſpoſero, che era un certo detto Ariſtofane, ilquale con grande ſtudio, & con ſomma diligenza ogni giorno per ordi
ne compiutamente turti que libri leggeua.
Eſſendo adunque nel ridotto de i giuochi partite le ſedi ſecretamente di
coloro, che haueuano à giudicare, chiamato Ariſtofane con gli altri, in quel luogo, che gli fu conſegnato ſi poſe.
3330
Introdutto fu prima l’ordine de poeti al contraſto, e recitandoſi gli ſcritti loro tutto il populo con cenni addimanda-
ua quello, che que giudici approuaſſero, eſſendo adunque dimandate da ogn’uno le oppinioni, ſei concorſero in una
ſentenza iſteſſa, &
quello, che haueuano auuertito eſſer ſommamente alla moltitudine piaciuto, à quello dauano
il primo premio, &
à quello, che era dapoi, il ſecondo.
Ariſtofane eſlendogli richieſto il ſuo parere, uolle, che prima fuſſe prononciato quello, che men diletto haueſſe detto
al popolo.
Ma sdegnandoſi il Re, inſieme con glialtri, egli ſi leuo in piedi, e pregando impetrò, che gli fuſſe laſcia-
to dire.
Et coſi fatto ſilentio dimoſtrò quel ſolo tra quelli eſſer poeta, & gli altri recitare le coſe aliene, & che biſogna
ua, che i giudici approuaſſero gli ſcritti, &
non i ſurti.
Merauigliandoſi il populo, & dubitando il Re egli confidatoſi nella memoria traſſe di certi armari inſiniti uolumi,
e comparandogli con lecoſe recitate, isforzò quelli à conſeſſare d’hauerle rubbate, &
pero il Re uolle, che contra
4440 queſti ſi procedeſſe come di ladronezzo, &
condannati con uergogna gli diede licenza, & adornò con grandisſi-
midoni Ariſtofane dandogli il carico ſopra la ſua libreria.
Ne gli anni ſeguenti Zoilo uenne di Macedonia in Aleſſandria, dico quello, che hebbe il cognome di Flagellatore di
Homero, e recitò i ſuoi uolumi al Re fatti contra la Iliade, &
l’Odiſſea. Perche uedendo Ptolemeo il padre dei Poe-
ti, &
la guida della dolcezza del dire eſſer in aſſenza accuſato, & eſſer da colui uituperato quello, che da tutte le
genti era pregiato, sdegnatoſi non gli diede alcuna riſpoſta.
Zoilo poi dimorando longamente nel regno oppreſſo
dal biſogno mandò ſottomano dimandando al Re, che gli fuſſe dato qualche coſa.
Diceli che il Re riſpoſe. Homero ilquale e mancato mille anni auanti paſcere molti migliaia di perſone, & però eſ-
ſer conueniente, che colui, che faceua profesſione d’eſſer di miglior ingegno poteſſe non ſolamente ſe ſteſſo, ma
anchora piu gente notrire, &
in ſomma ſi narra la morte di Zoilo, come di Parricidio condennato.
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Altri dicono quello da Philadelſo eſſer ſtato in croce conficcato, altri lapidato, altri à Smirna uiuo poſto in una pira:
Dellequai coſe qualunque auuenuta gli ſia degna certamente à i meriti ſuoi è ſtata la pena, perche altro non me-
rita colui, che in giudicio chiama quelli, de quali la riſpoſta non ſi puo nella lor preſenza dimoſtrare, che oppinio-
ne habbiano hauuto ſcriuendo.
Ma io ò Ceſare, ne mutati gli altrui indici trappoſto il nome mio ti moſtro queſto corpo, ne biaſimando gli altrui
penſieri, per quello uoglio approuare, &
lodare me ſteſlo, ne deſidero, che ſimile opinione ſia hauuta di me, per-
che niuna coſa ho detto, che da altri io non habbia cercato, &
inteſo, & ſe coſa, è che dir ſi poſſa eſſer mia, la fatica, &
lo ſtudio certamente ſi puo dire.

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