Vitruvius Pollio, I dieci libri dell?architettura, 1567

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1Tanto, che ſi condenſa, & ſi riſtrigne
In folta nebbia, & di nera ſembianza,
Il freddo è la cagion, che la coſtrigne
Come ſponga, che d'acqua piena ſia
Spreme l'humor, che la terra dipigne.
Tal'hor minute ſon le goccie in uia,
Tal'hor piu groſſe, come che'l ſoggetto
Piu copioſo, o meno ſi diſuia.
Et ſpeſſo l'aer puro in ſe riſtretto,
Da potenza ſupern'in pioggia uolto,
Acqua giu manda piena di diletto.
Queſta nel grembo della terr'accolto,
Pregna la rende, ond'ella poi s'infiora,
E in uerdeggiante gonna ha il ſen'in uolto.
Poſcia Vertunno, con Pomona, & Flora
E'l padre Bacco, & mill'antichi numi,
Lodan'il Sol, che ſi bell'anno honora.
Ma quando l' aer riuers'i ſuoi fiumi,
Come da i monti delle nubi aperte,
Con ſpauentoſi, e horribili coſtumi.
Et ſon le uoci ſtrepitoſe inſerte
Del mormorar', e in ogni parte rugge
Con fiamme ſparſe, mobili, & incerte:
Cio naſce dal ſoffiar, ch'intorno mugge,
Et con gran forza indura il foſco nembo,
Ch'impatiente del legame fugge.
Però ſi uede hor anguloſo, hor gembo
L'aſpetto della nube intorno cinta
Da ſi feroc', e impetuoſo lembo.
Ma perche ſia la mia ragion diſtinta,
Dirò de ſegni della pioggia, & quali
Et quanti ſon con maeſtreuol tinta.
Chi ued'il fumo con ſue turbid'ali
Salir'al Cielo, & apparir in forma
Di nebbia, o di uapori, o fumi tali',
Puo giudicar ſenz'hauer altra norma
Che l'aer pregno a piouer s'apparecchi,
Che raro in altra coſa ſi trasforma.
Quand'anche dietro a gli humidi, & rubecchi
Vapor'il Sol roſſeggia in oriente,
Segn'è di pioggia, & di ſuoi molli ſpecchi.
Il gracidar della fangoſa gente,
Et d'alcun'uccelletti il canto moſtra
La piu groſſa rugiada eſſer preſente.
L'auida pecorell'anche il dimoſtra
Col ſuo morſo bramoſo, & l'arrogante
Moſca, che ſempre uuol uincer la gioſtra,
Lo ſcintillar delle lucerne innante,
Inditio d'acqua copioſa porge,
Et l'humido del muro circoſtante.
Quando con men liquor'il fonte ſorge,
Et con corſo men fort'il fium'è moſſo,
Vn buon giuditio del piouer s'accorge.
Mill'altri ſegniſon, che dir non poſſo,
In breue ſpatio, & da quei ſaui inteſi,
Ch'affatican del mar l'humido doſſo.
Molti ne ſon da agricoltori appreſi,
Et molti ancor dalle genti, che ſanno
L'uſanza, & i costumi de paeſi,
Ch'è inanzi il caſo il ſucceſſo diranno.
CAPITOLO.
L'anima ſemplicetta, che diſcende
Dalla celeſt'alla terrena ſtanza,
Aſſai meno, che prim'il uero apprende,
Perche diſtolta dalla prim'uſanza,
Rinchiuſa come Danae nel fondo,
Viue della miſerrima ignoranza.
Il benigno ſuo padre, che nel mondo
Volle mandarla del ſuo amore acceſo
Si cangia in Oro lucid', & fecondo.
L'oro e'l ſaper', & il bel uero inteſo,
Che da benigno influſſo nella mente
Fa ricco l'huomo ſoura Mida, o Creſo.
Cos'il perduto bene tra la gente
Del ſecolo ſi trou', & ſiracquiſta,
Ma non ſenza fatica, o ſtudio ardente.
Ben'è la conoſcenza alquanto miſta
Da fantaſime, & forme, che dal ſenſo
Naſcono in noi dall'udit', & la uiſta.
Trouas'infine dallo ſtudio immenſo
Coſi puro & purgato l'intelletto,
Che rend'a Gioue l'honorato cenſo.
Queſto ſi uede chiar da quel, che ho detto,
Ch'oltr' il bel uer delle notitie prime
Da gli accidenti naſce il uer concetto.
Queſti n'han fatto con ſcienze opime
Tornar delle materie, nelle quali
La forza del calor uero s'imprime.
I lampi, le comete, i fuochi tali
Per le coſe uiſibiliſon fatti
A gl'intelletti de gli huomini eguali.
Et gli humidi uapor' anche ſon tratti
Per l'accidente alla notitia noſtra,
Come ſi fanno, & come ſon disfatti.

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