Vitruvius Pollio, I dieci libri dell?architettura, 1567
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Hor ſegue quello, che mia muſa moſtra,
Della rugiada dir', & della brina
Et del reſto conſorm'a ſimil moſtra.
Dolce calor dalla luce diuina
Dolcemente un uapor lieua dal piano,
Nella parte dell'aer piu uicina.
La notte col ſuo freddo uelo, & piano
Reſtringe quel uapor', & quell'inuoglie
In gocciole connerſo a man'a mano.
Quest' all'herbette, a i fior', & alle foglie
Tremolando s'accoſta, & nel mattino,
I bei raggi del Sol, qual ſpecchio accoglie.
Simil uapor'fa il gelo mattutino;
Ma perch'il gelo è piu potente, & forte,
Però ſi strigne & diuenta piu fino.
Speſſo ſi ſono le perſone accorte
Ch'al baſſo la rugiada ſi condenſa
Per non eſſer calor, ch'alto la porte.
Perche ſedend'a diletteuol menſa
Ne bei prati la ſera, hanno ſentito,
Che tal uapor di ſotto ſi diſpenſa.
Il luogo, & la ſtagion fanno l'inuito
A queſt'impreſſion, che ſpeſs' amaro
Et ſpeß'ha dolc'il guſto, & ſaporito.
S'hebbe gia un cibo precioſo & caro,
Simil alla rugiada, far per fede,
Quanto puo il aielo con inditio chiaro.
Nella diſerta piaggia oue non uede
Naſcer herbette il Sol', o ſorger fonte,
Fa fatt'un popol d'ogni cibo herede.
Col guſto lor', & con le uoglie pronte
Vn'eſca ſol'haueua ogni ſapore,
Odi coſe incredibili, ma conte.
Er'un paeſe, ou'il diuin fauore
Conduceua la gent'a Dio diletta,
Sott'il ueſſillo d'un gran conduttore.
In quello in uece d'acqua pura, & neta,
Candido latte, & dolce mel correa,
Ogni coſa in ſuo grado era perfetta:
Ma giugner prima, ou'andar ſi douea
Senza fatica, & camin aſpro, & pieno
D'ogni diſagio, & mal non ſi potea.
Il popol ſi ſentiua uenir meno,
Et della uita & delle ſue ſperanze,
Et al mal dire non haueua freno.
Il capitano alle celeſti ſtanze
Gli occhi, & le palme humilmente uolgendo,
Pregò, ſecondo le ſue antiche uſanze.
Padre (dicea) del ciel ſe ben comprendo
Hauer condotta la tua gente in loco,
Oue la morte ſenza te n'attendo.
Tu, che partiſti gli elementi, e al fuoco
Seggio ſublime, & piu capace deſti
E'l troppo al mezo riduceſti, e'l poco:
Pur'io confido ne i miei uoti honeſti,
Che ſon fondati nelle tue promeſſe,
Che grat'il noſtro male non haureſti.
Meco ſon queſte genti, & io con eſſe,
Eſſe alla mia, & io ſto alla tua uoce,
Voce, che ſta nelle tue uoglie ſteſſe.
Ecco l'aſpro ſentier quanto lenoce,
Quant'è l'error fallace delle ſtrade,
Quat'è la fame indomita, & atroce.
Tu ſei la uia, tu ſei la ueritade,
Tu ſei la uita, però dolce padre
Moſtraci il uer camino per pietade.
Porg'il cibo bramato alle tue ſquadre,
Et fa, che ſi comprenda, che ne ſei
Preſente, con queſt'opere leggiadre.
Vdì la uoce il padre de gli Dei
Del Capitan fedele, & ſuo gran duolo,
Moſtrò quant'ama i buoni, & odia i rei.
Però chiamand'il ſuo beato ſtuolo
Quello, ch'il ſuo uoler'in terra ſpiega,
Einnant'ogn'hor li ſtà con dolce uolo.
Diſſegli, poi ch'al giuſto non ſi niega
Giuſta dimanda, hor gite oue ſi ſerua
L'ambroſia noſtra, e'l nettare ſi lega
Ne i uaſi eterni, in eterna conſerua:
Di queſta ſopra la diſerta piaggia,
Oue il popolo mio la fame ſnerua,
Tanta dal Ciel per ogni uerſo caggia,
Ch'ogn'un'il ſeno ſi riempi, & goda
Nè ui ſia tribu, ch'in copia non n'haggia.
Ecco una ſchiera di quei ſpirti ſnoda
Le celeſti uiuande giu dal cielo,
Piouen quell'eſca, per ch'ognun la roda.
L'afflitta turba, che dal chiaro uelo
Del bel ſeren'intorno, uede & mira
Scender'il dolce, & traſparente gelo,
Deſioſa la coglie, & pon giu l'ira,
Che la fame nodriſce, & ſene ſatia
Con merauiglia, & quanto puo reſpira.
L'alto ſtupor di coſi rara gratia
Conduce a dir'ogn'un, che cos'è queſta?

Qual boccanon fia ſtanca pria, che ſatia?

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