Vitruvius Pollio, I dieci libri dell?architettura, 1567

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1to, & quanto è piu nobile, & piu preſtante l'animo del corpo, tanto è piu degna la uirtu d'ogni
altro bene.
Felici adunque chiamar ſi poſſono quelli ſaui, che con belle, & ſottili inuentioni s'han
no procacciato quella lode, & quella gloria, il frutto dellaquale, è paſſato in eterno beneficio del
mondo, & tanto piu, quanto ci hanno moſtrato le coſe nobili, & precioſe: che ſi come è piu grato
all'huomo, & piu giocondo uedere una minima parte delle loro amate coſe, che trattare le mem­
bra di tutti gli altri corpi, coſi è piu degno ſapere una minima ragione delle alte, & rimote coſe,
che entrare nella cognitione di molte, che ci ſono famigliari.
& però ben dice un poeta.
Veramente felici, & fortunate
Furon quell'alme, a quai prima fu dato
Conoſcer coſe sì belle, e pregiate:
Ben lor ſucceſſe quel penſier beato,
Che fu di aſcender a i stellati chiostri,
Et pareggiar con la uirtute il ſato.
Questo è credibil, che gli horrendi mo stri
Viinceſſer de gli errori, & ch'ogni gioco,
Laſciaſſer, che ammolliſce i petti nostri.
Non ſcaldò i cuori lor l'ardente foco
Di Venere crudel, nè uino, o coſa
Che impediſſe il lor corſo, o molto o poco.
Non la turba del foro litigioſa,
Non la dura militia, non la uana
Ambitione di gloria pompoſa.
L'ingordigia dell'oro empia e inhumana
Non piegò punto gli animi di quelli,
Ch'eran riuolti alla parte ſoprana.
Chiuorrà adunque comparare ſimili huomini a gli Athleti? chi a gladiatori od'altri, che per
uittorie, o beneficij preſenti s'hanno obligati alcuni pochi?
Meritamente adunque douemo con
Vitr. giudicare, che gli inuentori delle utili, & belle coſe meritino piu presto gli honori celesti,
che quelli, i quali a tempo de Greci fiorirono di gloria per le forze del corpo dimostrate in que
giuochi, che ad honore di diuerſi Dei, & heroi coſi pompoſamente, & con tanto concorſo di
popoli ſi celebrauano, come erano i giuochi Olimpij in honore di Gioue, i Pithij in honore di A­
polline, i Nemei in honore di Archimoro, gli Isthmici in honore di Palemone.
Ma laſciamo
quello, che in Vitr. è manifesto, & uegnamo ad alcune belle inuentioni di alcuni antichi ſaui, &
prima di Platone nel primo capo, poi di Pithagora nel ſecondo, & in fine di Archimede, di Era­
tosthene, & di Archita nel ter zo: auuertendo che questo nome di Gnomonica ſi estende molto
piu di quello, che Vitr. poteſſe intendere nel preſente luogo.
Il modo ritrouato da Platone per miſurare un campo
di terra.
Cap. I.
SE il luogo ouero il campo di lati eguali ſarà quadrato, & biſogno fia di nuo­
uo con lati eguali raddoppiarlo, perche queſto per numeri, o per moltipli­
catione non ſi ritroua, però ſi puo fare con emendate deſcrittioni di linee.

Et queſta è la dimoſtratione.
Certo è che uno quadro di dieci piedi per ogni
lato, è piedi cento per quadro.
Se adunque è biſogno di raddoppiarlo, & fare uno ſpatio
di ducento piedi, & che ſia di lati eguali; egli ſi deue cercare quanto ſi deue fare un lato
di quello quadrato, accioche da quello alli raddoppiamenti dello ſpacio riſpondino du­
cento piedi.
Queſto per uia di numeri niuno puo ritrouare: perche ſe egli ſi fa uno lato
di quattordici piedi moltiplicando uerrà alla ſomma di cento nouanta ſei, ſe di quindici
farà ducento, & uenticinque: & però, perche queſto per uia di numeri non ſi fa manife­
ſto, egli ſi deue nel quadrato, che è di dieci piedi per ogni lato tirare una linea da uno an
gulo all'altro in modo, che il quadrato ſia partito in due triangoli eguali, & ciaſcuno de
i detti triangoli ſia di piedi cinquanta di piano.
Adunque ſecondo la lunghezza della de­
ſcritta linea egli ſi deue fare uno piano quadrato di lati eguali: & coſi quanto grandi ſaran
no i due trianguli nel quadrato minore di piedi cinquanta, con la linea diagonale diſe­
gnati, tanto con quello iſteſſo numero di piedi, nel quadrato maggiore ſaranno deſcritti

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