Vitruvius Pollio, I dieci libri dell?architettura, 1567

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1chieſa. & non uogliono conſiderare, che non hanno, Geometria, nè Arithmetica, nè intende
no la for za delle proportioni, & la natura delle coſe.
Egli biſogna adunque hauere eſſercitio, &
fabrica; biſogna diſcorſo.
Il diſcorſo come padre; la Fabrica è come madre dell'Architettu­
ra. {La fabrica è continuato penſiero dell'uſo.} Ogni artificioſo componimento ha lo eſſer
ſuo dalla notitia del fine come dice Galeno.
Volendo adunque fabricare, fa di meſtieri hauerc co
noſcimento del fine.
Fine intendo io quello, a cui s'indrizza la operatione: Et in queſto lo intel­
letto conſidera, che coſa è principio, & che coſa è mezo.
& truoua che il principio ſi conſide­
ra in modo di preſidenza, & nel principiare il fine è prima dello agente, perche il fine è quello,
che muoue all'opera: lo agente è prima che la forma, perche lo agente induce la forma; & la
forma è prima, che la materia: imperoche la materia non è moſſa, ſe la forma non è prima nel­
la mente di colui che opera.
Il mezo ueramente è il ſoggetto nel quale il fine manda la ſua ſimi­
glianza al principio, & il principio la rimanda al fine: però non è concordanza maggiore di
quella, che è tra'l principio, e'l fine.
oltra di queſto egli ſi comprende che chiunque impediſce il
mezo, leua il principio dal fine: & che il mezo per cagione del principio s'affatica, & riſpetto
al fine ſiripoſa.
Volendo adunque fabricare, biſogna conoſcere il fine, come quello, ch'al me­
zo impone forza, & neceſſità.
Ma per la cognitione del fine è neceſſario lo ſtudio, & il penſa­
mento: Et ſi come il ſaettatore non indrizzarebbe la ſaetta alla brocca, ſe egli non teneſſe fer­
ma la mira, coſi l'Artefice non toccarebbe il fine, ſe con la mente altroue egli ſi riuolgeſſe.

L'uſo adunque è (come s' è detto) drizzare le coſe al debito fine: come abuſo è torcerle da quel­
lo.
Ma per hauere queſto indrizzamento delle coſe al fine, fa biſogno d'hauere un'altro uſo, ilqua
le uuol dire Aſſuefattione, laquale non è altro, che ſpeſſa, & frequentata operatione d'alcuna
uirtù, & potenza dell'anima, o del corpo.
onde egli ſi dice eſſer uſato alle fatiche, eſſer uſato, po­
ſto in uſo, uſanza, & conſuetudine.
Biſogna adunque eſſer uſo di continuamente penſare al fi­
ne.
Et però dice Vitr. Fabrica eſſer continuo, & eſſercitato, & come uia trita, & battu­
ta da paſſaggieri frequentato penſiero d'indrizzare le coſe a fine conueniente.
Et da queſte parole ſi dimoſtra la utilità che era conditione dell'Arte. Ma perche con tanta
ſollecitudine di penſiero affaticarſi, a che ſenza intermiſſione penſare?
certo non per altro, che
per manifeſtare in qualche materia eſteriore la forma, che prima era nel penſiero, & nella men­
te; & però dice Vitr. dando fine alla diffinitione della Fabrica, quella eſſere operatione manife­
ſta in qualche materia fuori di noi, ſecondo il penſiero, che era in noi.
Vero è, che Fabrica è
nome commune a tutte le parti dell'Architettura, & molto piu abbraccia, di quèllo che commu
nemente ſi ſtima, come ſi dirà poi.
Diſcorſo è quello che le coſe fabricate prontamente,
& con ragione di proportione puo dimoſtrando manifeſtare.
Il diſcorſo è proprio dell'huomo, & la uirtu, che diſcorre, è quella che conſidera quanto ſi puo
fare con tutte le ragioni all'opere pertinenti; & però erra il diſcorſo, quando lo intelletto non
concorda le proprietà delle coſe atte a fare, con quelle che ſono atte a riceuere.
Diſcorre adun­
que l'huomo, cioè applica il principio al fine per uia del mezo: ilche, come s'è detto, è proprio
della humana ſpecie.
Auenga che gli antichi habbiano à gli altri animali conceſſo una parte di
ragione, & chiamati gli habbiano maeſtri dell'huomo, dicendo, che l'Arte del teſſere è ſtata
preſa dalla Ragna, la diſpoſitione della caſa, dalla Formica, il gouerno ciuile dalle Api; ma noi
trouamo, che quelli ſono inſtinti di natura, & non diſcorſi dell'Arte: & ſe Arte ſi deue chia­
mare la loro naturale, & non auueduta prudenza, perche non ſi potrebbe ſimilmente Arte chia­
mare la uirtù che nelle piante, & nelle pietre ſi truoua?
Come l'Arte dello Elleboro purgar il fu­
rore, l'Arte della pietra ne i nidi dell'Aquile, detta Aetite, rilaſciare i parti?
Perche anche
non ſi potrebbe dire eſſere un'Arte diuina che regge, & conſerua il mondo?
una Celeſte che re­
gola i mouimenti de i cieli?
una Mondana, che tramuta gli elementi? Ma laſciamo la tralatione
de i nomi, fatta per la ſimiglianza, & pigliamo la uerità, & la proprietà delle coſe.
Diſcorſo
adunque è come padre, ſecondo che detto hauemo di ſopra, dell'Architettura: nel quale ui biſo-

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