Vitruvius, I Dieci Libri dell' Architettvra di M. Vitrvvio, 1556

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128PROEMIO.
Ecco l’ultima diſſerenza, che ne i ueri, & giuſti termini, & quaſi confini rinchiude l’ Architettura, percioche il giudicare l’opere compiute dal
l’ Arti, è propio di lei, &
non d’ altre: l’Oratore s’adorna di molte Arti, & Diſcipline, & quelle grandisſime ſono, & bellisſime, il ſimi-
gliante ſa il Medico, ma l’uno, &
l’altro hanno diuerſi intendimenti, l’Oratore s’adorna per potere perſuadere, cioè indurre opinione, il Me-
dico, per indurre, ò conſeruare la ſanità, ma lo Architetto ſolo per giudicare, &
approuare l’opere conſumate dall’ altre Arti, conſumate
dico, &
perfette ò uero compiute, come dice Vitr. però che non ſi puo giudicare ſe non le coſe finite, acciò neſſuna ſcuſa ſia dell’ Artefice.
Dalla diffinitione dell’ Architettura ſi comprende, che coſa è Architetto, & ſi conoſce Architetto eſſer colui, ilquale per certa, & maraui-
glioſa ragione, &
uia, ſi con la mente, & con l’animo ſa determinare come con l’opera condurre à fine quelle coſe, che da il mouimento de i
peſi, dal compartimento de i corpi, dalla compoſitione dell’opere à beneficio de gli huomini commendate ſaranno.
Dice adunque Vitr.
Architettura è Scienza ornata di molte dottrine, & uarie eruditioni.
Et per Dottrina s’intende quella eſſere la quale i Maeſtri inſegnano, & Diſciplina quella laquale i diſcipoli imparano, il parlare è ſtrumento del-
1110 l’inſegnare, &
l’udire dell’imparare, la Dottrina comincia nel concetto di colui, che inſegna, & s’eſtende alle parole; ma la diſciplina comin
cia nell’udito di colui, che impara, &
termina nella mente, ma bella coſa, & utile è il ſopponere per ragione, & dimoſtrare per pratica, in
quello é la Dottrina, &
in queſto la eruditione, cioè lo ſgroſſamento. (Per lo cui giuditio s’approuano) Il giudicare è coſa eccellen-
tisſima, &
non ad altri conceſſa, che à ſaui, & prudenti, percioche il giuditio ſi fa ſopra le coſe conoſciute, & per eſſo (s’approua)
Cioè ſi da la ſentenza, &
ſi dimoſtra che con ragione s’è operato. Approua adunque l’ Architettura. (L’opere fatte dall’altre Arti
compiutamente.
Opera) e quello artiſicio, & lauoro che resta ceſſando l’operatione dell’ Artefice, come operatione è quel mouimento
ch’egli ſa mentre lauora.
Ma attione s’intende negotio, & maneggio ciuile, & uirtuoſo, ceſſato ilquale, niente piu reſta (Arti) Qui s’in-
tende l’ Arti in quanto s’adoprano, &
ſi ſanno, le ragioni delle quali à eſſa padrona ſi riferiſcono, & qui ſia fine della diffinitione dell’ Archi-
tettura.
Nella quale uirtualmente compreſe ſono le belle uerità dell’ Architettura, & de i precetti ſuoi, coſa degna di molta conſideratione,
&
perche chiaramente s’intenda queſto notabile ſegreto. Dico che in ciaſcuna cognitione, il diſſinire il ſoggetto, del quale ſi tratta, che è
2220 quello à cui ſi ri teriſce tutto quello, che ſi tratta, contiene uirtualmente le ſolutioni de i dubij, le inuentioni de i ſecreti, &
le uerità delle coſe
in quella ſcienza contenute.
Virtualmente contenere intendo, poter produrre una coſa, come il ſeme contiene in uirtu il frutto. La diffini-
tione adunque del ſoggetto, quando è fatta con leragioni dichiarate di ſopra, cioè quando dimostra la natura della coſa diffinita, la raccommu
nanza che ha con molte coſe, &
la differenza, propietà, che tiene; ha uirtù di far maniſeſte l’oſcure dimande, che ſono di quella ſcienza,
della quale, è, il ſoggetto diffinito, &
la ragione, è, perche la diffinitione del ſuggetto, è, principio, il quale come precetto dell’ Arte eſſer
deue uero, utile, &
conforme; come dice Galeno. Vero, perche niente ſi comprende, che non ſia uero, come ſe alcuno diceſſe il fele della
Chimera eſſer’ utile à gli infermi;
queſto non ſi potrebbe comprendere, perciò che non ſi troua, & non e uero che la Chimera ſia. Vtile biſogna
ſia il precetto, perciò è neceſſario che egli tenda à qualche fine;
& utilità, non è altro che riferire le coſe al debito fine, & in uero nõ è de-
gna del nome di Arte quella cognitione la cui operatione, non è utile alla humana uita.
La conſormità é poſta nella uirtù predetta, molte co-
ſe in uero hanno in ſe la forza della uerità, che non hanno la forza della conſormità, perche non hanno ualore d’inſluire il lume loro nelle co-
3330 ſe, ilche ſi conoſce, che uolendo noi applicare i principij alle coſe, non ſi raccoglie alcuna ragione, percio che non ſono concludenti, &
con-
formi, quando adunque il ſoggetto, &
le propietà naſcono da i principij, all hor a ui è la conformità, & la uirtù conſiſte nell’applicatione.
Vero è da tutti giudicato conoſciuti i termini, come io diceua, che ſe dalle coſe equali ſi leueranno l’equali, ò dalle pari, le pari il rimanente
ſarà pari, ò equale, ne ſolamente è uero queſto principio, ma di ualore ineſtimabile, perciò che egli s’applica dal Filoſoſo naturale à i mo-
uimenti, al tempo, à gli ſpatij;
dal Geometra alle miſure, & grandezze; da l’ Arithmetico à i numeri, dal Muſico à i ſuoni; dal Nocchiero al
uolteggiare;
dal Medico alle uirtù, & qualità delle coſe; ſtando adunque le già dette coſe, ne ſeguita quello che dirà Vitr. dell’ Architettu-
ra, &
prima del ſuo naſcimento, poi delle ſue conditioni, dice adunque.
Eſſa naſce da fabrica, & da diſcorſo.
Ma questa conſequenza non ſi puo ſapere ſe prima non ſi fa manifeſto che coſa è fabrica, & che coſa è diſcorſo, però dice Vitr.
Fabrica è continuo, & eſſercitato penſamento dell’uſo, che di qualunque materia, che per dar forma all’opera pro-
4440 poſta ſi richiede, con le mani ſi compie.
Diſcorſo è quello, che le coſe fabricate prontamente, & con ragioneuole
proportione puo dimoſtrando manifeſtare.
Diuino è ueramente il diſiderio di quegli, che leuando la mente alla conſideratione delle coſe, cercano la cagione di eſſe, & riguardando come dal
diſopra, &
da lunge la uerità s’ accendono alle fatiche, per lo contrario molti ſono, che con grandisſime lodi al Cielo inalzando i dotti, &
letterati huomini, &
con marauiglia riſguardando le ſcienze fanno ogni altra coſa piu preſto, che affaticarſi per acquiſtarle. Sono anche mol-
ti, che auenga dio che del certo ſappiano eſſer biſogno per l’acquiſto d’una ſcienza participare di molte altre, poco però di quelle ſi curano,
anzi danno biaſimo à gli studioſi di quelle, queſti come gente trauiata, &
folle ſi denno laſciare. Bella coſa è il poter giudicare, & appro-
uare l’opre de mortali, come atto di uirtù ſuperiore uerſo l’inferiore, nientedimeno pochi ſi danno alla fatica, pochi uogliano adoperarſi;
&
uſcire delle pelli dell’otio, &
perciò non fanno giudicio, & conſequentemente non peruengono al fine dell’ Architettura. Biſogna adunque eſ-
ſercitio, biſogna diſcorſo, il diſcorſo come padre, la fabrica è come madre dell’ Architettura.
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Fabrica è continuato, & eſſercitato penſiero dell’uſo.
Ogni artificioſo componimento ha l’eſſer ſuo dalla notitia del fine, come dice Galeno. Volendo adunque fabricare, fa di meſtieri hauere conoſci-
mento del fine.
Fine intendo io quello à cui s’indrizza l’operatione, & in queſto intelletto conſidera che coſa è principio, & che coſa è mez-
zo, &
troua che il principio ſi conſidera in modo di preſidenza, & nel principiare il fine è prima, che lo agente, perche il fine è quello che
muoue all’opera, lo agente è prima che la forma, perche lo agente induce la forma, &
la forma è prima che la materia, imperoche la materia
non e moſſa ſe la forma non è prima nella mente di colui che opera.
Il mezzo ueramente è il ſoggetto, nelquale il fine manda la ſua ſimiglianza
al principio, &
il principio la rimanda al fine, però non è concordanza maggiore di quella che è tra il principio, & il fine, oltra di queſto ſi
comprende, che chiunque impediſce il mezzo leua il principio del fine, &
il mezzo per cagione del principio s’affatica, & riſpetto al fine ſi
ripoſa, come dicono i ſauij.
Volendo adunque fabricare, biſogna conoſcere il fine, come quello che almezzo impone forza, & necesſi-
tà.
Ma per la cognitione del fine è neceſſario lo studio, & il penſamento, & ſi come il ſaettatore non indirizzerebbe la ſaetta alla brocca,
6660 ſe egli non teneſſe ferma la mira, coſi l’ Arteſice non toccherebbe il fine, ſe da quello altroue ſi riuolgeſſe.
L’uſo adunque è (come s’è detto) driz
zare le coſe al debito fine, come abuſo è torcerle da quello, ma per hauer queſto indrizzamento delle coſe al fine, fa biſogno hauer un’altro
uſo, ilquale uuol dire aſſuefattione, laquale non è altro, che ſpeſſa, &
frequentata operatione d’alcuna uirtù, & forza dell’anima. Onde ſi
dice eſſer uſato alle fatiche;
eßer uſato, posto in uſo, & conſuetudine, biſogna adunque eſſer uſo al continuo penſamento del fine, & però
dice Vitr.
Fabrica eſſer continuo, & eſſercitato.
Et come uia trita, & battuta da paſſaggeri ſrequentato penſiero di indrizzare le coſe à fine conueniente, & da queſte parole ſi dimostra l’utili-
tà, che era conditione dell’ Arte.
Ma perche con tanta ſollecitudine di penſiero affaticarſ@? à che ſenza intermisſione auuertire? certo non
per altro, che per maniſeſtare in qualche materia eſteriore la ſorma, che prima era nel penſamento interiore, &
però dice Vitr. dando fine
alla diffinitione della fabrica, quella eſſere operatione maniſeſta in qualche materia fuori di noi ſecondo il penſiero, che era in noi.
Fabrica è no
7770 me commune à tutte le parti dell’ Architettura, &
molto piu contiene di quello, che communemente ſi ſtima come ſi dir à dapoi.
Diſcorſo è quello, che le coſe fabricate prontamente, & con ragione di proportione puo dimoſtrando manifeſtare.
Il diſcorſo è proprio dell’huomo, & la uirtù che diſcorre, è, quella che conſidera quanto ſi può fare con tutte le ragioni all’opere pertinenti,
&
pero erra il diſcorſo, quando l’intelletto non concorda le proprietà delle coſe atte à fare, con quelle, che ſono atte à riceuere. Diſcorre
adunque l’huomo, cioè applica il principio al fine per uia del mezzo;
ilche come s’è detto, è, proprio dell’humana ſpetie, auuenga che mol-
ti de gli antichi habbino à gl’altri animali conceſſo una parte di ragione, &
chiamati gli habbino maeſtri dell’huomo, dicendo che l’arte del

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